L’essere umano è una macchina complessa, costituita da più livelli collegati tra loro: la dimensione fisica, quella psicologica, cognitiva, spirituale e sociale.
Invecchiando, diventa inevitabile affrontare una netta riduzione delle riserve funzionali, condizione che finisce per esporre a un aumentato rischio di disturbi e patologie (sia cronici che transitori).
La condizione di vulnerabilità che riguarda l’organismo in questa fase della vita è in grado di alterare l’equilibrio individuale, esponendo di fatto la persona ad eventi negativi che trascendono la sfera fisica e che rischiano di coinvolgere anche quella psichica e sociale.
In questo caso è possibile parlare di fragilità dell’anziano.
La letteratura medica ha affrontato spesso l’argomento, definendo fragile l’anziano affetto da una stabilità precaria delle condizioni fisiche e cliniche, con un rischio elevato di complicanze che possono sfociare nella progressiva perdita di autonomia.
In genere, l’anziano fragile ha già oltrepassato i 75 anni ed è affetto contemporaneamente da più disturbi che rischiano di causarne l’ospedalizzazione, soprattutto in presenza di manifestazioni gravi o in seguito al riacutizzarsi di alcune malattie croniche.