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Disfagia quando preoccuparsi

I rischi della disfagia sono numerosi

Secondo la rivista scientifica BMJ, la disfagia colpisce 1 persona su 17, con un’incidenza maggiore nella popolazione dai 65 anni in su. I dati ci raccontano anche altro: la difficoltà a deglutire cibi solidi e liquidi è un disturbo che affligge fino al 70% dei pazienti che hanno subito un ictus e più dell’80% delle persone affette dal morbo di Parkinson. I rischi della disfagia sono numerosi: oltre alla malnutrizione e alla disidratazione, questo disturbo può provocare problemi importanti alle vie respiratorie come infezioni o polmoniti.

Cos’è la disfagia?

Con il termine disfagia si intende la difficoltà a deglutire alimenti solidi e liquidi. Ma in cosa consiste esattamente? Per comprendere il meccanismo alla base di questo disturbo, occorre pensare all’organismo umano come una macchina perfetta in termini di coordinazione e tempistiche. Nel momento in cui introduciamo del cibo, i muscoli della bocca e della gola lavorano in sinergia inviando l’alimento o il liquido ingeriti nell’esofago ovvero nel canale alimentare che conduce il cibo nello stomaco.

Nella disfagia questa sincronia viene a mancare. Bocca e gola non sono coordinate e ciò che viene ingerito, anziché passare nell’esofago, va nella trachea, nel canale quindi preposto alla respirazione. Questo è il passaggio potenzialmente pericoloso della disfagia in quanto l’aspirazione del cibo può dar luogo alla polmonite.

Esistono due tipi di disfagia. La prima, classificata come orofaringea, consiste nella difficoltà del passaggio di cibo solido o liquido dalla bocca all’esofago. La seconda, l'esofagea, riguarda invece la difficoltà che si presenta a livello dell’esofago.

La disfagia non è un problema da sottovalutare. Secondo quanto riportato dalla rivista ScienceDirect, è uno dei problemi sanitari più importanti e diffusi soprattutto tra la popolazione anziana mondiale. Spesso infatti gli over 65 presentano delle patologie che possono aumentare il rischio di disfagia, come ictus, neoplasie o morbo di Parkinson, e fattori di rischio come, per esempio l’uso di determinati farmaci.

Fatica a deglutire: quali sono le cause?

La difficoltà a deglutire può essere provocata da qualsiasi condizione o disturbo che va a indebolire o danneggiare i muscoli e i nervi normalmente coinvolti nella deglutizione. La disfagia, in base alla causa scatenante, è classificata come:

  • iatrogena quando è legata all’uso di farmaci oppioidi o oppiacei;
  • ostruttiva se legata a fattori che ostacolano meccanicamente la deglutizione come ingrossamento della tiroide, diverticoli, stenosi e alcune neoplasie;
  • motoria quando è la conseguenza di scompensi che derivano da patologie sistemiche o a carico dell’esofago.

Tra le cause più importanti della disfagia ricordiamo la miastenia, una patologia cronica che va a indebolire i muscoli volontari come le labbra, la faringe o la lingua, e le patologie legate alla demenza che possono provocare una progressiva perdita di controllo del cavo orale.

Disfagia: quando allarmarsi?

La condizione dell’anziano disfagico può diventare un problema molto grave. La fatica a deglutire infatti non solo provoca un repentino calo di peso ma espone il paziente a una progressiva disidratazione. Questi due fattori possono diventare un fattore di rischio molto serio, soprattutto in presenza di altre patologie: saper riconoscere in tempo la disfagia è fondamentale per evitare danni che potrebbero rivelarsi irreversibili. Non trascuriamo anche un’altra importante complicazione.

In condizioni normali, il meccanismo della tosse ci aiuta a liberare le vie aeree da eventuali corpi estranei o liquidi che potrebbero favorire la proliferazione di virus e batteri potenzialmente pericolosi. A volte però la tosse non è sufficiente a liberare la trachea, soprattutto se la quantità di cibi e liquidi aspirati è ingente, come nel caso della disfagia. Il rischio quindi è di sviluppare una serie di infezioni respiratorie come la broncopolmonite, la polmonite ab ingestis e in alcuni casi l’asfissia. Ricordiamo inoltre che alcuni pazienti potrebbero non essere consapevoli della loro difficoltà a deglutire i cibi solidi e liquidi.

Per questo motivo, un’osservazione quotidiana può aiutare a effettuare una diagnosi tempestiva, allontanando così il rischio di possibili complicazioni. I familiari, o chi assiste l’anziano, dovranno prestare particolare attenzione a colpi di tosse involontaria che avvengono dopo due o tre minuti dall’ingestione del cibo, alla fuoriuscita di cibo o liquido dalle narici o alla comparsa di qualche linea di febbre non legata ad altre cause. In presenza di questi segnali è necessario allertare tempestivamente il medico curante.

Diagnosi e cura della disfagia

La diagnosi della disfagia, dopo un attento esame anamnestico, può avvalersi dell'ausilio di esami come la gastroscopia, la radioscopia con mezzo di contrasto, la TAC, la risonanza magnetica o la valutazione endoscopica della deglutizione. Lo specialista di riferimento è l’otorinolaringoiatra che, dopo aver effettuato la diagnosi, dovrà stabilire un piano terapeutico che potremo definire multidisciplinare in quanto può avvalersi della collaborazione di nutrizionisti, logopedisti, foniatri e gastroenterologi.

La cura della disfagia dipende in larga misura dalla causa che l’ha scatenata: il percorso riabilitativo quindi è del tutto soggettivo e studiato "ad personam". In alcuni pazienti sarà necessario imparare a mangiare in posizioni particolari, per esempio con la testa girata (strategie di compenso). In altri invece sarà importante effettuare degli esercizi per aumentare e migliorare la forza dei muscoli deputati alla deglutizione. Spesso è necessario intervenire sulla preparazione dei cibi: in alcuni casi è bene utilizzare degli addensanti per favorire la deglutizione, evitare alimenti e bevande troppo calde o fredde. Se queste terapie non dovessero rivelarsi sufficienti, il medico valuterà l’eventualità di ricorrere alla chirurgia.

Come si gestiscono i pasti dell'anziano disfagico?

La prima cosa da fare è creare un ambiente tranquillo e sereno, eliminando qualsiasi fonte di distrazione ed evitando il più possibile cambi di postura. Il paziente deve essere seduto, con il tronco eretto: se allettato, occorre sostenere il tronco con più cuscini. I bocconi non devono superare il volume consigliato dai medici e il pasto deve essere lento ma non durare più di 30/45 minuti al massimo: oltre questa soglia, l’attenzione diminuisce e potrebbe aumentare il rischio di inalazione.

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